L’ormonoterapia adiuvante nel carcinoma mammario: come migliorare l’aderenza alla terapia

D. Farci – Oncologo – Nuova Casa di Cura – Cagliari- Decimomannu

Il 75-80% dei carcinomi mammari presenta una positività dei recettori ormonali per gli estrogeni e per i progestinici e l’ormonoterapia adiuvante, in cui si utilizzano farmaci che bloccano il recettore degli estrogeni o che inibiscono l’aromatasi, enzima implicato nelle ultime tappe della sintesi degli estrogeni, rappresenta uno storico caposaldo della terapia del carcinoma mammario.  

Se viene assunta correttamente l’ormonoterapia riduce del 40% le recidive tumorali e di un terzo la mortalità per carcinoma mammario. 

Purtoppo, però, i tassi di non aderenza all’ormonoterapia sono elevati: il 33% delle donne che praticano l’ormonoterapia non assume il farmaco come prescritto e un terzo la interrompe entro il quinto anno dalla prescrizione. Questo provoca un aumento del rischio di recidiva e di morte. 

La scarsa aderenza all’ormonoterapia è causata spesso dall’età avanzata delle pazienti e dai numerosi farmaci assunti per comorbidità. Più spesso, però, la scarsa aderenza all’ormonoterapia è causata dagli effetti collaterali da questa indotti: astenia (fatigue), dolori articolari e muscolo-scheletrici, disturbi del sonno, ansia, aumento di peso, alterazioni della sessualità, disturbi della memoria e della concentrazione. 

In un trial clinico pubblicato nel 2019 su Annals of Oncology, comprendente 4 mila pazienti con tumore mammario (stadio da I a III), trattate con ormonoterapia o chemioterapia adiuvanti, è stata misurata  la qualità di vita  al momento della diagnosi e dopo uno o due anni. Si è visto che l’ormonoterapia ha un impatto sulla qualità di vita persino maggiore della chemioterapia, specialmente nelle pazienti in postmenopausa. 

Una corposa metanalisi, pubblicata su The Breast nel gennaio 2022, in cui sono stati analizzati 26 studi, con 5.400 pazienti in terapia con Tamoxifene o Inibitori dell’Aromatasi, ha valutato l’aderenza al trattamento. E’ stato evidenziato che solamente il 66% delle donne che assume una terapia ormonale adiuvante la completa, che le donne più ligie alla terapia sono quelle nella fascia di età 50-65 anni e che la minore aderenza delle più giovani è dovuta agli effetti collaterali, soprattutto a carico di fertilità e sessualità. 

La minore aderenza nella fascia di età più avanzata sembra dipendere da fattori diversi, come le comorbidità, l’alterazione cognitiva e il supporto sociale. 

Un altro aspetto rilevante è che le donne che presentano sintomi che influiscono più pesantemente sulla loro qualità di vita hanno una maggiore probabilità di non aderenza al trattamento. 

Quali possono essere le soluzioni a questo importante problema? 

Un aspetto peculiare è quello di migliorare la comunicazione con le pazienti e di prestare attenzione ai sintomi da loro riferiti, anche a quelli che superficialmente possiamo considerare irrisori. Nel cercare delle soluzioni, gli oncologi, ma anche i Medici di Medicina Generale, spesso coinvolti in queste tematiche, devono dare delle indicazioni sullo stile di vita e prescrivere terapie sintomatiche e di supporto. 

Ad esempio troppo spesso trascuriamo l’astenia, la cosiddetta Cancer Related Fatigue (CRF), presente in una paziente su tre in ormonoterapia.  

La fatigue si manifesta con debolezza generalizzata, diminuzione della motivazione e dell’interesse ad impegnarsi nelle attività abituali, labilità emotiva e diminuzione della concentrazione e dell’attenzione. Il che ha un pesante impatto negativo sulla qualità di vita delle pazienti, interferendo con le attività quotidiane, deprimendo il tono dell’umore, condizionando l’attività lavorativa e le relazioni sociali ed alterando la qualità del sonno. 

La fatigue è un sintomo multifattoriale, accentuato da età giovane, stato socioeconomico basso, disagio psicologico, sintomi concomitanti (dolori miotendinei, vampate di calore) ed abitudini di vita non salubri (fumo di sigaretta, inattività fisica, sovrappeso o obesità). 

Per contrastare la fatigue può essere utile un supporto psico-oncologico, ma soprattutto ha un effetto positivo l’attività fisica. Perché modula i mediatori infiammatori, aumenta l’autostima ed ha un’attività antidepressiva. 

Un’altra problematica è rappresentata dal fatto che circa il 60% delle pazienti con carcinoma mammario trattate con un’ormonoterapia adiuvante a base di inibitori dell’aromatasi (IA), come il Letrozolo, l’Anastrozolo e l’Exemestane,  andrà incontro all’insorgenza di sintomi dolorosi a livello articolare e muscolare: artralgie (dolore articolare simmetrico a diverse articolazioni, che aumenta nelle ore serali e notturne e con il riposo, riferito a livello dell’inserzione  tra osso e muscolo); rigidità articolare (soprattutto al mattino, che aumenta con il riposo); sindrome del tunnel carpale; dito a scatto; mialgie; riduzione della forza. 

Nella maggior parte dei casi questi sintomi insorgono entro i primi mesi dall’inizio del trattamento con IA e hanno un’intensità lieve-moderata, ma in circa il 10% possono essere di intensità severa e non rispondono spesso alle terapie antalgiche, tanto da determinare la sospensione dell’ormonoterapia. 

I fattori di rischio per l’insorgenza di artromialgie indotte dagli inibitori dell’aromatasi (IA) sono rappresentati dall’età inferiore a 60 anni, dall’obesità, da una menopausa recente, da concomitanti patologie reumatiche, in particolare dalla fibromialgia, e dall’assunzione di ansiolitici o antidepressivi. 

I dolori indotti dagli IA sono causati da 

  • Deplezione estrogenica: gli estrogeni sopprimono la produzione di citochine infiammatorie coinvolte nella patogenesi del dolore; bassi livelli aumentano la loro produzione 
  • Ridotta espressione di IL-6: le cellule sinoviali esprimono aromatasi e quando catalizzano la conversione da androstenedione a estrone ed estradiolo l’espressione di IL-6 è ridotta nelle articolazioni 
  • Alterazioni ossee: l’aumento delle citochine infiammatorie regola l’espressione del RANK ligando a livello degli osteoblasti favorendo la loro conversione a osteoclasti con conseguente alterazione dell’osso 
  • Attivazione delle vie di trasmissione del dolore: gli IA attivano in modo selettivo i canali TRPA1 coinvolti in una delle principali vie di trasmissione del dolore e di infiammazione neurogenica 
  • Edema neurogenico: gli IA causano edema neurogenico attraverso il rilascio di neuropeptidi sensitivi 

In che modo possono essere gestite le artromialgie indotte dagli inibitori dell’aromatasi (IA)? 

E’ utile l’assunzione di vitamina D e di magnesio, ma ha una buona efficacia anche la curcuma. E’ necessario controllare il peso con una dieta bilanciata e con un’adeguata idratazione, ma, soprattutto, è indispensabile praticare una regolare attività fisica aerobica (almeno 30 minuti di camminata veloce al dì) e decontratturante (yoga, stretching, ginnastica in acqua) 

Ha un effetto positivo l’applicazione locale di calore (bagni tradizionali o termali, fanghi), mentre l’agopuntura si è dimostrata utile nel contrastare la rigidità articolare, ma anche la fatigue e le vampate di calore. 

La terapia antalgica è scarsamente efficace, sia il Paracetamolo che i FANS e gli oppiacei, mentre talvolta è necessario ricorrere a farmaci per il dolore neuropatico, come l’amitriptilina o il gabapentin, o ad un farmaco per i disturbi neuroinfiammatori, come la palmitoiletanolamide ultra micronizzata. 

Un altro aspetto da non trascurare che è causa di non aderenza all’ormonoterapia è che tutte le donne che la praticano hanno un maggior rischio di fratture ossee, dovute all’aumentato riassorbimento osseo e quindi alla loro spiccata fragilità. 

Considerando che le fratture in corso di ormonoterapia possono essere precoci, è opportuno iniziare subito, oltre alla vitamina D (100.000 UI ogni 2 mesi), la terapia preventiva con farmaci antiriassorbitivi, come l’ Alendronato, lo Zoledronato e il Denosumab. Quest’ultimo è quello che ha la maggiore efficacia nella prevenzione delle fratture da osteoporosi. 

E’ importante sottolineare che la vitamina D in questi casi serve soprattutto per aumentare l’attività degli antiriassorbitativi, per cui non serve il suo dosaggio ematico, e che è necessario monitorare la situazione effettuando ogni 18 mesi-24 mesi una MOC. 

In conclusione, la non aderenza all’ormonoterapia adiuvante nelle donne con carcinoma mammario rappresenta un grave problema, perché aumenta significativamente il rischio di recidive tumorali e di morte. E’ importante un impegno fattivo da parte degli oncologi e dei medici di medicina generale, ma anche da parte di altri specialisti che dovessero visitare le pazienti, nel prestare attenzione ai sintomi riferiti, nell’ottica di individuare dei rimedi, che possano migliorare la loro qualità di vita e l’aderenza al trattamento. In tal senso, secondo le ultime linee guida dell’ASCO (American Society Clinical Oncology), è fondamentale perseguire idonei stili di vita: praticare una costante attività fisica; adottare un’alimentazione equilibrata, in modo da non andare incontro al sovrappeso o all’besità; non eccedere nel consumo di alcolici e superalcolici; non fumare. 

Dr Daniele Farci 

Responsabile Medicina e Oncologia Nuova Casa di Cura di Decimomannu 

Coordinatore AIOM Sardegna 

Consigliere Ordine dei Medici di Cagliari 

Bibliografia 

  1. Early Breast Cancer Trialists’ Collaborative Group. Relevance of breast cancer hormone receptors and other factors to the efficacy of adjuvant tamoxifen: patient level meta-analysis of randomised trials. Lancet 27;378(9793):771–84; 2011 
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